Io credo che il teatro nella sua dimensione istituzionale negli ultimi anni sia tornato molto indietro, e noi non ci meritiamo quel teatro, ce ne meritiamo un altro. […] Che cos’è il teatro? Non possiamo ignorare questa domanda, perché il teatro sta dentro ad altre domande che sono esistenziali e investono il ruolo dell’uomo nel mondo. Noi siamo dei privilegiati, perché scegliamo un teatro, il teatro sociale, che va al cuore della domanda.
[…] Dobbiamo mantenere la versione radicale del teatro. In cosa consiste questa radicalità? Consiste nell’andare sempre al nucleo. Non bisogna limitarsi a parlare di “forma”. Se oggi dovessi scegliere cosa buttare a mare del teatro contemporaneo, butterei la forma e la parola ”arte” per quello che è diventata. Le arti sono il portare a coscienza davanti a noi ciò che noi siamo. E qui arriviamo al corpo. C’è un filosofo che mi convince molto e che mantiene la sua radicalità nonostante sia di moda, Jean-Luc Nancy, che ha scritto Corpo Teatro. […] Il corpo è una piega dell’essere: immaginate l’essere come una stoffa che si piega in noi…ed è una responsabilità grandissima, perché questa piega non è sempre una bella piega, ma può essere una piega sofferente, che viaggia su un gommone, una piega malata. Queste pieghe dell’essere sono la nostra dimensione radicale. Al di sotto di queste pieghe, c’è il nulla.Il corpo è già teatro, il teatro non è diverso dal nostro corpo. […] Ma noi lo stiamo annientando perché preferiamo il quieto vivere, le certezze del testo scritto a tavolino, vivendo in un altrove in cui si guarda il mondo da intellettuale e si discute di forma e di estetica. Mentre noi non vogliamo più avere a che fare con questa drammaturgia, vogliamo un teatro che stia all’interno del corpo-piega. […] Il teatro sociale è il linguaggio del corpo, e in quanto tale è poetico; è una rivelazione, perché attraverso il corpo mette insieme cose tra loro distantissime. Io non userei la parola “arte” ma la parola “poesia” nel senso greco, “poiesis”, perché la “poiesis” è creazione, atto creativo.
Nancy sostiene che c’è un momento in cui ci si raddoppia, si crea un doppio, cioè si va in una condizione maggiore dell’esser guardato dagli altri: a teatro si raddoppia per forza perché se il corpo in sé è già teatro e questo corpo va sulla scena, per forza raddoppia.
[…] Per rendere consapevole qualcuno che il corpo è teatro, bisogna fargli esperire questo raddoppiamento. Il pubblico diventa pazzo perché ha desiderio di vedere questo raddoppiamento, che altrove – nel teatro tradizionale – non vede. La radicalità del teatro sociale sta proprio in questo, nel far vivere agli altri questo raddoppiamento, ed è una cosa talmente grande, che ci porta fuori di noi e ci fa rendere conto che siamo una piega dell’essere. Dobbiamo andare a fondo di questa radicalità.