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Racconti dall’Etiopia – Ultima parte

Ebbene sì, abbiamo disfatto le ultime valigie, ed ora eccoci qui: a casa, in Italia. Fa una certa impressione ricordare (e se l’Etiopia è ricordo, è già passato), fa impressione renderci conto che quei cinque mesi di progetto che inizialmente ci sembravano un periodo infinito…sono effettivamente finiti.

L’ultima missione di novembre è stata un passaggio di consegne: lentamente ci siamo rese conto che dovevamo “fare” meno ed osservare di più. Abbiamo osservato Tsegaye, il nostro social worker, imparare a condurre il gioco dell’oca “The Path of Life” e, durante i test fatti nelle scuole, con bimbi dai 10 ai 14 anni, prendersi sempre più spazio, fino a trovarci in disparte, sedute su una panchetta di legno, a guardarlo sorridenti e orgogliose. Ma questa è già la fine.

L’inizio siamo noi e i nove fogli del tabellone di “The Path of Life” sparsi sul pavimento dell’ufficio. Forbici, scotch e i nostri colleghi abesha divertiti e incuriositi dall’apparizione di quel gioco sconosciuto. Tsegaye, Gebre e Wubshet ci hanno aiutato tanto a capire le criticità e i miglioramenti da sottoporre alla nostra illustratrice e soprattutto hanno preannunciato la sfida del mese: come spiegare cos’è un dado a qualcuno che non l’ha mai usato nè visto? Come spesso è accaduto, l’Etiopia ci obbliga a non dare mai niente per scontato e a trovare modi semplici, creativi ed efficaci di comunicare. Con questo intento siamo andate nelle scuole: piccole aule vuote e buie, con lunghi banchi provvisti di panche, a volte poggiati direttamente su terra smossa, si riempivano di 50 paia d’occhi attenti e sorprendentemente educati.

Racconti dall'Etiopia

Ogni test era una scoperta e un nuovo tentativo: come condurre, quanto teatralizzare, come fare le pedine, come usare il dado…ma è stato dopo aver tenuto anche i primi workshop dedicati ad insegnanti ed associazioni giovanili che siamo riuscite a trovare la giusta misura perchè il gioco risultasse dinamico, divertente e allo stesso tempo ci permettesse di affrontare il tema della migrazione irregolare in maniera approfondita ed adatta al target. Tsegaye ha lavorato sulla traduzione dei contenuti ed insieme a noi ha visto le potenzialità del gioco; pian piano è diventato sempre meno didattico nella conduzione e si è lasciato ispirare, improvvisando spontaneamente piccole teatralizzazioni che ci hanno entusiasmato e riempito di fiducia: sarà lui ora a portare il gioco nelle scuole dei woreda di Ambassel, Tehuledere e Worebabo e a trasmettere tutto ciò che ha imparato ad insegnanti ed associazioni giovanili, perchè “The Path Of Life” si diffonda, ed insieme ad esso anche la consapevolezza sui rischi della migrazione irregolare.

Il test con i giovani, facenti parte di un’associazione della stessa amministrazione di Hayk, ci ha particolarmente colpito; il gioco li ha coinvolti emotivamente e la discussione che ne è seguita ha rivelato ciò che già immaginavamo: il partire non è una scelta, di fronte alla completa assenza di iniziativa del governo nel campo dell’occupazione giovanile.

Come operatrici di teatro sociale, ciò che possiamo fare in questo caso è ribadire che diffondere consapevolezza e creare rete ha un valore concreto: Il primo passo per risolvere un problema è infatti riconoscere l’esistenza di un problema, comprenderlo, confrontarsi su di esso ed unirsi nel combatterlo. O nel combattere per qualcosa. Ciò che abbiamo fatto in questi mesi è stato interrare piccoli semi attraverso il nostro lavoro, dare spunti e stimoli e creare il tempo ed il luogo dell’incontro. Sappiamo che starà a loro decidere di nutrire ciò che è nato. Non puoi ordinare al germoglio di sbocciare, ma puoi preparare un terreno fertile. Sebbene a volte ci siano stati dei momenti di sconforto, poco prima di partire abbiamo avuto un regalo di commiato: siamo andate a fare colazione al Comfort, ed ecco che appare Mohamed “il sorridente” – un nostro trainer, vicepreside del liceo. Insiste per offrirci il caffè, ne approfittiamo per chiedergli se ha rivisto qualcuno del gruppo.

Ci risponde che alcuni ragazzi si sono rivolti a lui per parlare di migrazione e che nel liceo è nato un club di discussione. “Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Questo è già abbastanza per farci tornare felici, soddisfatte e sazie di questa esperienza.