Sono, come dico spesso, semplicemente un Infermiere e come tutti i colleghi di tutto il mondo, sono e siamo, anche se in modi assai diversi a volte, coinvolti ed impegnati in questa sfida complessa quanto inaspettata che ha dimensioni, ambiti e aspetti che ci riguardano prima di tutto, come esseri umani e come professionisti che poi, per un curante è la stessa cosa. Siamo buoni professionisti solamente con tutta la nostra umanità e non siamo completamente umani nelle relazioni e nella vita privata, se rinunciamo al prenderci cura dell’altro e di noi stessi.
Un curante non ha un interruttore con scritto off. La cifra umana e quella professionale coincidono. E ora più nessuno può e deve nasconderlo agli altri e a sé stesso.
Come infermiere in questi luoghi 33 anni una cosa ho dovuto imparare da subito, una cosa che non era scritta in nessun libro e non è mai stata argomento di nessuna lezione a scuola: mettere al centro la propria fragilità, guardarla, accoglierla, riconoscerla come risorsa, continuamente risignificarla, come in uno specchio contemplarla riflessa nella fragilità dell’uomo che ti è di fronte e che si ammala, soffre, prova dolore, ha paura e che muore…solo così è possibile la cura…prendendosi cura.
Poi sono anche un operatore di teatro sociale. Da qualche anno con Teresa Siena all’interno della nostra comunità di curanti, l’A.O. Ordine Mauriziano di Torino, abbiamo costruito percorsi di condivisione, partecipazione, spazi di incontro dove potersi riconoscere come professionisti e come persone, con uno sguardo sempre attento al curato, il paziente, colui che soffre.
Umanizzare la medicina, la cura, la relazione, l’assistenza. Rimettere al centro il fattore umano utilizzando quanto di più umano conosciamo: l’arte in tutte le sue forme i suoi linguaggi e farlo insieme come gruppo di curanti e di curati.
È nato così il gruppo aziendale salutearte (www.salutearte.it), sono nati così i progetti e le azioni significative che hanno coinvolto la nostra comunità e che ora sono patrimonio esperienziale condiviso. Essere stati identificati dalla comunità in questo momento particolare come portatori di sensibilità e competenze utili per i colleghi e le colleghe e per i pazienti e le loro famiglie ci chiama ad un impegno.
Sto lavorando con alcuni colleghi per curare la comunicazione e la relazione fra i degenti ricoverati e i loro cari utilizzando la tecnologia disponibile; sono stato sostenuto dal nostro direttore generale a reperire e utilizzare un numero sufficiente di Tablet perché la relazione è tempo di cura oltre che elemento capace di ridurre le distanze e rendere più umana la degenza e l’attesa a casa ai familiari.
Gli infermieri della rianimazione dicono che curare la relazione anche solo telefonica con i famigliari dei ricoverati è per loro un elemento di forza e di sostegno dalle fatiche quotidiane spesso molto gravose.
La coordinatrice della Rianimazione Generale sta riempiendo il suo luogo di cura con la stampa di foto “di famiglia” inviate dai famigliari dei degenti da appendere vicino al proprio caro…che giace in un letto di rianimazione intubato e sedato.
Ciò è più comprensibile dopo aver condiviso diversi momenti di arte partecipata tra curati e curanti dove il linguaggio fotografico, pittorico, poetico e musicale è stato patrimonio di tutti.
Sto pensando di trasmettere alle persone in coma farmacologico la voce dei propri cari come musica e nutrimento per il cervello e l’anima, per il proprio sistema immunitario…come anche la musica di Emiliano Toso a 342 Hz…insomma, penso che il valore simbolico delle forme dell’arte mai come ora trovi terreno fertile per essere condivisa, per costruire il domani e la speranza.
Non so bene in questo momento cosa dell’arte aiuti e cosa ostacoli. So che la competenza dell’utilizzo dell’elemento simbolico veicolato dall’arte è strategica, così come è un’altra competenza fondamentale saper posare lo sguardo al futuro e saper costruire percorsi di “speranza”.
Sappiamo dalla letteratura che i veri problemi, sia per i curanti che per la società civile, ci cadranno addosso come un macigno “quando tutto sarà finito”, per questo penso sia necessario trovare tavoli e occasioni per chi si occupa di arte e di teatro sociale e di comunità per pensare ORA al futuro e quindi a costruire ORA la speranza… il mondo come lo abbiamo conosciuto non esiste più e quello che ci aspetta dobbiamo costruirlo insieme a cominciare da ORA.
Saper guardare oltre, immaginare, progettare il futuro è una competenza artistica.
Progettiamo il futuro, immaginiamo il nuovo mondo insieme e rimettiamo l’arte e la bellezza al centro quale elemento capace di curarci.
Pino Fiumanò