Articolo di Alessandra Rossi Ghiglione, scritto per Dors | Centro di documentazione per la promozione della salute
Art deals with what matters to people and gives people a reason to get up in the morning
(Duncan Selbie, Chief Executive Public Health England, “Arts and Minds – A Creative Alliance” Opening Adress at 2017 CHW International Conference Bristol)
In un mondo dove si vive più a lungo (almeno in Occidente) e dove le disuguaglianze socioeconomiche si accentuano (dappertutto), una delle preoccupazioni maggiori di chi si occupa di salute pubblica è garantire una buona salute per tutti. Può l’arte contribuire alla qualità di vita e promuovere salute, per tutti?
La conferenza internazionale di Bristol Culture, Health and Wellbeing (19-21 Giugno 2017, www.culturehealthwellbeing.org.uk) risponde un deciso sì presentando quasi un centinaio di best pratices a livello mondiale – dall’Inghilterra alla Norvegia, dall’Australia all’India, dal Rwanda al Canada, dagli Usa a Singapore – e discutendo con studiosi, politici, operatori e artisti le implicazioni dell’arte nella promozione della salute, nella cura e l’innovazione che il binomio arte e salute può produrre nella programmazione culturale stessa (dai musei alle performing arts).
Un universo ricco di passione morale, rigore sperimentale, creatività e resilienza che, partendo dalla Carta di Ottawa e forte dei risultati dell’inchiesta disponibile online e avviata dal All-Party Parliamentary Group of Arts, Health and Wellbeing in collaborazione con National Alliance for Arts, Health and Wellbeing e il King’s College di Londra, punta sulla ‘social connectivness’ come fattore protettivo e di promozione della salute individuale e di comunità.
“Politiche di reciprocità (mutuality) e di comunità richiedono empatia, senso di vicinanza e responsabilità l’uno per l’altro”, sostiene Lord Howarth of Newport, co-direttore del gruppo interparlamentare del Regno Unito su Arti, Salute e Benessere, e “fare arte sviluppa modalità di pensiero innovative e diverse contrastando fra l’altro la malattia mentale e il malessere sociale che nascono nelle società multiculturali dall’incomprensione culturale.” L’attività creativa e culturale, sia come consumers che soprattutto come users, quando cioè coinvolge i destinatari come partecipanti attivi al processo creativo, impatta sul benessere mentale, sulla motivazione a vivere, sulle capacità di coping e sull’alleanza terapeutica e costruisce ambienti favorevoli al mutuo aiuto stimolando comportamenti salutogenici.
Il numero di esperienze internazionali presentate a Bristol include progetti di intervento e di ricercazione che utilizzano arti differenti – dalla musica al canto, dal teatro alla danza, dal craftwork alla narrazione -, che si rivolgono a destinatari differenti – dagli anziani ai giovani, da malati in fine vita a persone con comportamenti a rischio, da cittadini di aree urbane a popolazioni afflitte dalla guerra, dagli studenti di medicina ai veterani di guerra- e che coinvolgono istituzioni differenti -organizzazioni sanitarie, musei, università, compagnie, singoli artisti, fondazioni private, etc. I modelli di sfondo vanno dalle artiterapie, all’animazione creativa, alla complementarietà terapeutica tra artisti e organizzazioni sanitarie fino ad alcune esperienze molto innovative che, superando la funzionalità tecnica dell’arte alla cura o alla promozione della salute, immaginano concepiscono e realizzano interventi ibridi con una forte dimensione transdisciplinare, multiprofessionale e community based. Tra questi The Dharavibiennale a Mumbai (www.dharavibiennale.com): un progetto creato dalla dottoressa Nayreen Daruwalla, responsabile del programma di prevenzione della violenza contro donne e bambini SNEHA, che lavora su 4 parole chiave (salute, arte, comunità, riciclo) e che tratta 20 diversi problemi di salute locali (dal cancro al seno all’inquinamento dell’aria, dall’alcolismo alla nutrizione, dalla violenza all’accesso alla sanità) con il coinvolgimento di fotografi, stilisti e moltissimi artisti e studiosi di salute pubblica che lavorano direttamente con la comunità locale.
Dall’Europa anglosassone invece arrivano stimolanti esempi, anche con valutazione qualiquantitative soddisfacenti, su progetti che grandi musei, come il Van Gogh Museum di Amsterdam, o piccoli, come il Fitzwilliam Museum di Cambridge o il Pitt Rivers Museum di Oxford, stanno sviluppando per persone anziane -anche affette da demenza- o per persone adulte fragili. In molti casi si tratta di persone che fruiscono dell’offerta culturale come parte della cura prevista per loro: il fenomeno prende il nome di social prescribing -ovvero l’indicazione di attività sociale come parte della terapia di recovery per un paziente. Le proposte che i settori educativi dei musei o i responsabili del cultural heritage stanno immaginando si situano a fianco della visione di una mostra o della visita di un sito rilevante del patrimonio culturale locale e si strutturano in workshop con periodicità settimanale in collaborazione con operatori sanitari, sociali e talora antropologi con particolate attenzione al lavoro sulla connessione tra esperienza di vita personale e identità storica locale, tra immaginazione e memoria. Il benessere degli anziani ne risulta aumentato sia per la socializzazione promossa sia per la sollecitazione cognitiva attivata, ma anche per la ritrovata appartenenza a un’identità comunitaria e culturale.
Se la danza hip hop e la danza contemporanea risultano interessanti in modo particolare nella prevenzione e nella riabilitazione dalle cadute delle persone anziane, come testimoniano le ricerche condotte da Astill dell’Università di Leeds e da Philip del Barts Health NHS Trust, molti progetti di teatro -dalla Norvegia al Sud Africa- risultano efficaci con ragazzi e giovani nella prevenzione di comportamenti a rischio -dalla depressione al suicidio al consumo di sostanze- o nella risocializzazione dei pazienti affetti da diabete, come ha mostrato a Bristol il brillante spettacolo teatrale di Blood Sugar fondato su storie di vita e nato da una collaborazione tra Università di Witwatersrand di Johannesburg e l’ospedale universitario di Chris Hani Baragwanath a Soweto. L’ultima giornata della Conferenza è stata dedicata alle grandi questioni trasversali: dalle questioni etiche alla sostenibilità, dalla metodologia della ricerca all’accessibilità sino ai temi della misurazione e valutazione. In questo quadro è stato presentato, quale best practice europea, il progetto Caravan Next. Feed The Future (Creative Europe 2016-2019, www.caravanext.eu). Il progetto introdotto da Alberto Pagliarino -coideatore, coordinatore artistico e membro del SCT Centre dell’Università di Torino – si fonda sulla metodologia di Teatro Sociale e di Comunità™ nata in Piemonte e sviluppata con una particolare attenzione all’ottica di promozione della salute insieme a Dors e alla Scuola di Medicina di Torino. La varietà di destinatari coinvolti -dalle donne rifugiate ai bambini ospedalizzati, dai giovani delle comunità minorili agli anziani, etc.- e l’ampiezza del campione europeo (il progetto triennale coinvolge 11 paesi diversi da Creta alla Danimarca , dalla Polonia alla Spagna e migliaia di cittadini) hanno suscitato molto interesse nel pubblico, che ha apprezzato in modo particolare la capacità del progetto di coniugare sviluppo di comunità, promozione della salute e qualità artistica.