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Práticas Artísticas Comunitárias: un’intensa nostalgia comunitaria – Note al margine dell’EIRPAC

*La fotografia rappresenta CAL Estreia,  una performance di comunità realizzata presso il bairo di São Vitor a Porto (PT) il 20 settembre 2017. E’ stata creata dalla associazione Pele Espaço entro le fila del progetto “Retratos das Ilhas – Bonfim para além das fachadas promovido” finanziato dalla Fundação Calouste Gulbenkian. La foto è di Mairea Segui Buenaventura.

Articolo di Giulia Innocenti Malini per il progetto PER-FORMARE IL SOCIALE. Formazione, cura e inclusione sociale attraverso il teatro – PRIN MIUR 2015 2015

EIRPAC 2017 è la seconda edizione dell’Encontro International de Reflexão sobre Práticas Artísticas Comunitárias. Si è svolto a Porto dal 19 al 21 settembre 2017 grazie all’impegno organizzativo profuso da Isabel Bezelga – professore associato all’Università di Evora dove si occupa di investigare la congiunzione tra “criação artística e teatral e a educação, numa perspectiva de vinculação comunitária e social” – coadiuvata da numerosi volontari. Un gruppo di lavoro che è stato il vero motore di queste interessanti giornate, che hanno intrecciato in maniera efficace differenti prospettive da cui guardare all’arte di comunità. La trama costituita dagli interventi teorici, proposti da Eugen Van Erven e Tim Prentki sulle potenzialità politiche dell’applied theatre, da Antonio Prieto Stambaugh in merito al rapporto tra memoria collettiva e teatro di documentazione, a seguire le riflessioni di Evelyn Furqulm Werneck Lima sulla dialettica tra città e processi artistici comunitari e, nell’ultimo pomeriggio, le provocazioni conclusive di François Matarrasso sugli sconfinamenti dell’arte di comunità. Intorno a queste tematiche sono state animate numerose e accese tavole rotonde, dove i relatori, insieme a tutti i partecipanti, hanno approfondito e confrontato esperienze, metodi di lavoro, approcci e tecniche. I tanti e cruciali percorsi di approfondimento proposti dalle tavole, ci restituiscono l’idea di un incontro che, ponendosi fuori dalle questioni in cui ancora si dibatte il teatro sociale in merito alla propria identità e alle proprie fondamenta, ha piuttosto interrogato le arti di comunità a partire dal vivo dei problemi culturali, sociali e politici della contemporaneità. Per esempio il confronto si è incentrato sulla dissoluzione delle culture popolari e sulle conseguenze nei rapporti tra memoria, soggettività ed identità. Si è molto discusso sulle valenze politiche e partecipative delle arti di comunità, sia nei territori urbani e metropolitani, come nelle zone rurali, in contesti variamente istituzionalizzati e con finalità ed obiettivi specifici ad ampio spettro (dalle esperienze performative terapeutiche alle azioni festive metropolitane), come a dimostrare nella pratica che la plurale fenomenologia è in primo luogo una ricchezza da tutelare per un bene più grande quale è quello comune e relazionale. Una prospettiva che trova nella interdisciplinarietà e nella valorizzazione intelligente delle differenze e della complessità i suoi più utili enzimi.

Un’ulteriore nota di merito all’incontro viene dalla proposta di laboratori attivi, in cui sperimentare direttamente pratiche di lavoro e dalla congiunta opportunità di assistere e partecipare a numerose performance, entro le maglie dell’interessante e dinamico festival MEXE, organizzato da Hugo Cruz in collaborazione con gruppi, compagnie e centri d’arte territoriali. Insomma una vera e propria immersione a tutto tondo nella pratica e nella riflessione, con molteplici momenti formali ed informali di scambio e confronto.

Seppure EIRPAC abbia ospitato diverse forme artistiche, è indubbio che la teatralità nelle sue più diverse declinazioni sia stata preponderante. Si conferma anche qui che il teatro comunitario si muove con agilità nelle sue proposte secondo un approccio di tipo postdrammatico e performativo, nelle maglie larghe di processi artistici in cui il linguaggio teatrale si reinventa in relazione ai soggetti, ai loro bisogni e desideri secondo linee poetiche partecipate.

Al centro il soggetto, si diceva, che può essere il singolo, il gruppo o l’intera comunità locale che tornano a farsi autori ed attori del loro immaginario, inventando sistemi simbolici e segnici entro i quali sperimentare e risignificare l’ordinario attraverso lo straordinario. Una teatralità che si fa memoria viva, momento congiunto in cui anche le peggiori condizioni della vita risuonano, prendono parola e corpo, si incarnano nella relazione e nell’affetto e ci si riscopre parte di un’umanità accogliente, seppur tante volte contraddittoria, fino a farsi oscura.

Gli spazi investiti dalle pratiche performative, che durante EIRPAC sono stati a volte i quartieri stanchi e consumati del centro di Porto, altre volte i suoi teatri, le fermate delle metropolitane, il cimitero, la piazza, sono così rianimati. Riprendono anima. Ritornano alle persone come luoghi di senso, di futuro, di speranza.

“Pareti che ascoltano … pareti viventi che raccontano storie, strati di odori e suoni che si sovrappongono nel tempo perpetuati nei ritratti di coloro che abitavano questo spazio e questa memoria. Arcipelaghi di vite intrecciate in stretti corridoi e vicoli senza uscita, schiacciati nella quotidianità in uno spazio senza segreti dove in un cassetto è fatto un letto e dove le pareti sono porte e finestre per i giorni che hanno un breve orizzonte. Generazioni diverse che si incrociano durante le traversie quotidiane: negli angoli, nelle case, negli alberi, nel giardino … e s’incontrano nella volontà di costruire un’isola in cui “gli uni sono tutti” e non c’è l’ombra di un grattacielo “. Il brano è tratto dalla presentazione di CAL Estreia, un’intensa performance di comunità realizzata presso il bairo di São Vitor, a cui hanno lavorato una quarantina di persone di varia età e provenienza intorno alle complessità abitative e sociali che caratterizzano il quartiere, povero e popoloso, seppure collocato al centro della città. Un’azione di creatività partecipata che ha generato legami, riacceso speranze, rielaborato memorie dolorose. Un’esperienza, nel senso pieno del termine. Distillato estetico di conoscenza diretta, profonda e personale, al contempo sensoriale, unica eppure comune. Per noi, che abbiamo partecipato alla performance finale, è stato stringersi intorno a quella comunità, ma anche riassaporare il senso più profondo e intimo con una antica nostalgia per la nostra umana comunità.