Il racconto di Luciano Perciaccante tirocinante del Master Interuniversitario in Performance e Teatro Sociale
Domenica 13 luglio, le strade di San Michele Mondovì si sono riempite di frutta, musica e persone grazie alla Parata della Macedonia, un evento partecipativo ideato da SCT Centre nell’ambito del progetto Spazio Porto, promosso dal Comune e sostenuto dalla Fondazione CRC.
Ho avuto il privilegio di seguire da vicino tutte le fasi del progetto – dalla preparazione nei giorni precedenti fino alla realizzazione dell’evento finale – in qualità di tirocinante del Master in Performance e Teatro Sociale.
Per quanto mi riguarda, è stata un’esperienza intensa e coinvolgente che mi ha permesso di vivere dall’interno un processo performativo e comunitario articolato, corale, profondamente umano.
Nei giorni precedenti la parata, insieme al team del Teatro Popolare Europeo (Social and Community Theatre Centre di Torino), abbiamo condotto laboratori con gruppi eterogenei – bambine e bambini, adolescenti, anziani, volontari e semplici cittadini – esplorando, attraverso il corpo, la voce e il gesto, il tema che ha attraversato l’intero progetto: la Casa. Un concetto affrontato nella sua dimensione affettiva, simbolica e sociale, da cui sono emerse memorie, desideri e visioni.

Oltre ai laboratori, agli incontri organizzativi e a quelli drammaturgici, ho partecipato attivamente anche alla costruzione della scenografia della parata: un’attività collettiva che ha richiesto cura, ascolto e cooperazione. In particolare, abbiamo realizzato stendardi decorati con immagini della frutta, da portare in parata come elementi visivi simbolici e festosi. Anche questa parte più manuale non è stato un semplice esercizio tecnico, ma un momento profondamente relazionale, in cui la dimensione estetica si è intrecciata con quella partecipativa e narrativa dell’intero percorso.

Durante la preparazione della parata è emerso con chiarezza come la performance sociale si fondi sulla costruzione di relazioni: si sviluppa nel tempo, nell’ascolto, nella cura delle connessioni, nella capacità di abitare contesti plurali con apertura e rispetto. Ogni attimo si è rivelato uno spazio di generazione di senso condiviso, dove il teatro ha funzionato come catalizzatore di esperienze e linguaggio comune tra generazioni e culture.
Il giorno dell’evento, San Michele Mondovì si è trasformata in un grande spazio performativo all’aperto. La parata, partita dallo spiazzo davanti alla parrocchia, ha rappresentato il momento culminante di questo percorso. Il corteo festoso e colorato si è poi mosso verso le strade cittadine e ha attraversato il paese raccogliendo frutta donata spontaneamente dai cittadini. Il corteo era accompagnato da musiche, canti e piccole azioni teatrali. La frutta donata dagli abitanti veniva raccolta con dei teli colorati e poi messa in un carretto. Alla fine del percorso il carretto era strapieno di frutta ed espandeva dietro di sé una persistente scia profumata.

Uno dei momenti più intensi è stata la tappa alla RSA “San Michele Arcangelo”, dove abbiamo incontrato gli ospiti della struttura e cantato insieme una canzone, rivisitata appositamente per l’occasione. In quel momento la performance ha assunto un valore profondamente relazionale e trasformativo: eravamo un unico corpo sociale riunito in un’esperienza emotiva autentica. È lì che ho visto il teatro diventare cura, presenza, ascolto. Vivere questi momenti dall’interno, come parte attiva del gruppo performativo, è stato emozionante: ho percepito con chiarezza come l’arte, quando si mette al servizio della collettività, diventi spazio di incontro e di attivazione simbolica del territorio.

Nel pomeriggio, noi, insieme ad alcuni volontari, abbiamo preparato la “macedonia di comunità”, utilizzando la frutta raccolta durante la parata. La sera, nella piazza gremita, dopo un annuncio ufficiale, la macedonia è stata condivisa con tutta la comunità, in un momento conviviale e simbolico. Questo gesto ha dato forma concreta al senso del nostro lavoro: ciò che era stato raccolto lungo il cammino, in uno spirito di partecipazione diffusa, è diventato nutrimento comune. Un atto semplice, ma carico di significato: nutrirsi insieme, costruire appartenenza.
La macedonia, nella sua varietà di forme e sapori, ha assunto un chiaro valore antropologico: metafora concreta di una comunità plurale, in cui elementi differenti coesistono senza confondersi, ma trovano armonia proprio nella loro diversità. Ogni frutto conserva la sua identità, pur essendo partecipe dell’insieme; così come ogni persona, ogni cultura, ogni esperienza, porta con sé un sapere, un gesto, una voce. La condivisione del cibo, atto profondamente simbolico in molte tradizioni culturali, ha funzionato qui come rituale inclusivo e di riconoscimento reciproco, capace di attivare un senso di comunità che non si fonda sull’omogeneità, ma sulla relazione armonica tra differenze.
In questa prospettiva, la performance ha assunto anche un valore antropologico e sociale: non solo momento artistico, ma strumento culturale che rende visibili i legami, gli eventuali conflitti e le possibilità di convivenza. La macedonia figurava simbolicamente la stessa comunità presente e ha mostrato la possibilità di una nuova narrazione collettiva: concreta, partecipata, condivisa.

L’intera esperienza ha incarnato con chiarezza alcuni presupposti teorici del teatro sociale: l’arte come dispositivo relazionale, capace di attivare contesti non teatrali e generare trasformazione culturale e sociale. In uno spazio pubblico e aperto, ho osservato come il teatro, liberato dalle logiche della rappresentazione frontale, si radichi nei corpi, nelle strade e nei gesti quotidiani.
Nel teatro sociale e di comunità l’arte incontra la vita.
Il lavoro svolto ha mostrato come la performance possa essere un’esperienza condivisa, in grado di mettere in movimento energie collettive, dare voce alle persone, produrre legami e significati.
In questa prospettiva, il teatro sociale non si limita a parlare di una comunità, ma agisce con la comunità, ne abita i tempi e gli spazi, e contribuisce a generare nuovi immaginari collettivi.
Questa esperienza mi ha permesso di sperimentare sul campo i principi fondamentali di una pedagogia artistica e relazionale: la dimensione processuale, l’attenzione al contesto, la cocreazione, la trasversalità tra arte e intervento, la contiguità tra arte e vita. Ho potuto osservare e partecipare alla costruzione di un progetto site-specific, lavorando in rete con istituzioni, centri estivi, scuole, associazioni e volontari, comprendendo come sia possibile coniugare la dimensione estetica con quella etica.

Ringrazio il Teatro Popolare Europeo e il Social and Community Theatre Centre di Torino per aver reso possibile questa esperienza, e tutte le realtà coinvolte: il Comune di San Michele Mondovì, la Parrocchia, la Cooperativa Caracol, l’Istituto Comprensivo, il CSSM Monregalese, la Fondazione CRC, il collettivo Dispari Teatro, e le associazioni del territorio – AVO Mondovì, la Confraternita di San Michele, l’Associazione ABC Aiuola, il Centro Anziani e Pensionati, la Pro Loco.
La “Parata della Macedonia” è stata, per me, un esempio potente di ciò che significa fare teatro sociale in un contesto concreto: generare bellezza, senso e legami reali a partire da ciò che è già presente nella comunità. Un teatro che non pretende, ma accompagna; non insegna, ma ascolta; non rappresenta, ma trasforma.
Luciano Perciaccante